Giustino Martire. Un santo anti-trinitario del II secolo?

Introduzione

Giustino Martire rappresenta una figura di straordinaria importanza nella storia del cristianesimo primitivo, incarnando il ponte tra la filosofia classica e la teologia cristiana nascente. Questo influente filosofo e apologista del II secolo, riconosciuto come santo sia dalla Chiesa Cattolica che dalla Chiesa Ortodossa Orientale, ha lasciato un'eredità teologica complessa e controversa che merita un'analisi approfondita. Le sue opere principali, scritte tra il 150 e il 160 d.C. durante il suo periodo di maggiore influenza a Roma, prima del martirio avvenuto intorno al 165 d.C. sotto l'imperatore Marco Aurelio, offrono uno sguardo unico sulla cristologia del II secolo e sulla sua evoluzione dottrinale.

Il Contesto Filosofico e Intellettuale

La formazione intellettuale di Giustino Martire si caratterizza per un sincretismo filosofico-religioso che attinge a diverse tradizioni. La sua comprensione e difesa della fede cristiana sono profondamente influenzate da scritti giudeo-cristiani, dall'opera di Filone di Alessandria, dal platonismo medio e dal filosofo greco Numenio. Questa base eclettica si riflette nella sua convinzione che "in realtà la filosofia è un grandissimo vantaggio e preziosissima agli occhi di Dio" e che "senza filosofia e retta ragione nessuno può possedere saggezza pratica".

Per Giustino, lo studio della filosofia rappresenta "l'atto più grande e prezioso di tutti", e figure come Platone e Pitagora costituiscono "un vero e proprio muro e baluardo della filosofia". Questa valorizzazione della filosofia non è meramente accademica, ma diventa strumentale alla sua comprensione della natura divina e della persona di Cristo, creando le premesse per una cristologia che si distacca significativamente da quella che sarà poi codificata nei concili ecumenici.

La Preesistenza di Cristo: Una Dottrina Innovativa

Uno degli aspetti più distintivi della teologia di Giustino è la sua dottrina della "preesistenza letterale e consapevole di Gesù". Utilizzando il verbo greco Pro parin (preesistere), un termine che non compare nel Nuovo Testamento, Giustino articola una visione cristologica che, pur affermando la preesistenza di Cristo, la inquadra in termini subordinazionisti. Nel "Dialogo con Trifone", emerge chiaramente questa posizione quando Trifone stesso riassume il pensiero di Giustino: "quando dici che Cristo preesisteva come un dio prima dei secoli, poi si sottomise per nascere e diventare uomo".

La terminologia utilizzata da Giustino rivela una distinzione fondamentale nella sua comprensione della divinità. Quando si riferisce a Gesù, usa il termine Theon senza articolo determinativo, traducibile come "un dio", mentre per il vero Dio utilizza sempre l'articolo determinativo (o Theos, "il Dio"). Questa distinzione linguistica non è casuale, ma riflette una precisa concezione teologica che colloca Gesù in una categoria intermedia tra l'umanità e la divinità assoluta.

Il Logos come Prima Creatura

La cristologia di Giustino si articola attorno al concetto di logos preesistente, che egli identifica come "il primo essere, la primissima creatura che il vero Dio creò". Secondo questa visione, fu questo logos che "assunse forma umana e divenne uomo e fu chiamato Gesù Cristo". Gesù viene quindi descritto come "il figlio del creatore dell'universo", ma significativamente come "qualcuno che fu effettivamente fatto", sottolineando la sua natura di creatura, seppur primordiale e privilegiata.

Questa concezione porta Giustino ad affermare esplicitamente che "esiste ed è menzionato un altro Dio e Signore sotto il creatore dell'universo", stabilendo una gerarchia divina che non corrisponde alla dottrina trinitaria successiva. Il Cristo di Giustino è "un altro Dio, la prima creatura creata", distinto numericamente dal vero Dio e subordinato ad esso.

La Distinzione Numerica: Fondamento dell'Anti-Trinitarismo

Un aspetto cruciale della teologia di Giustino è la "distinzione numerica" tra Gesù e il vero Dio. Questa distinzione non è meramente funzionale o economica, ma ontologica. Giustino concepisce Gesù come "numericamente distinto dal vero Dio", utilizzando l'espressione greca arithmo on eteron (numerato come un altro) per descrivere questa separazione. La sua interpretazione di Genesi 1:26 ("Facciamo l'uomo a nostra immagine") come Dio che conversa con qualcuno "numericamente distinto da sé" evidenzia questa comprensione.

Il principio che "ciò che è generato è numericamente distinto da colui che genera" diventa fondamentale nella sua argomentazione, stabilendo una differenza ontologica irriducibile tra il Padre e il Figlio che esclude qualsiasi forma di consustanzialità o unità di essenza.

Il Monoteismo del Padre Solo

Riguardo al vero Dio, Giustino mantiene una posizione rigorosamente monoteistica centrata sulla figura del Padre. Il vero Dio è "solo uno, non generato e incorruttibile", e "Dio Solo" (monos gar agenētos kai aphthartos ho Theos) è l'unico non generato, in contrasto con Gesù che è "generato". Questa distinzione tra generato e non generato diventa il criterio discriminante per identificare l'unico vero Dio, che secondo Giustino è "una sola persona: il Padre solo".

La prospettiva platonica di Giustino influenza profondamente questa concezione: il vero Dio è così distante e perfetto da non poter interagire direttamente con la sua creazione e da non poter essere visto. Conseguentemente, l'essere che apparve ad Abramo in Genesi 18-19 non era il Padre o il vero Dio, ma "un Dio" (Gesù), inviato da "un'altra persona che rimane sempre nei luoghi celesti superiori, che nessuno può vedere o con cui può interagire, che noi percepiamo essere il creatore dell'universo e padre".

La Gerarchia Tripartita: Padre, Figlio e Spirito

Nella Prima Apologia, Giustino presenta una chiara struttura gerarchica che coinvolge Padre, Figlio e Spirito Santo. La sua comunità adora "il vero Dio, ovvero il padre", ma anche "il figlio che è venuto da lui... e la schiera degli altri buoni Angeli che lo seguono e gli sono simili, e lo Spirito profetico". Questa formulazione non configura una credenza nella Trinità, poiché "il vero Dio per Giustino è il padre solo".

La gerarchia è esplicitamente definita: il "primo posto" spetta al vero Dio (il Padre), il "secondo posto" al Figlio e il "terzo posto" allo Spirito profetico. Questa classificazione, ribadita più volte nelle sue opere, stabilisce un ordine di dignità e autorità che esclude l'uguaglianza delle persone divine caratteristica della dottrina trinitaria.

Tolleranza verso i Cristiani Unitariani

Un aspetto notevole della posizione di Giustino è la sua consapevolezza e tolleranza verso i "Cristiani unitariani biblici". Egli era "pienamente consapevole dell'esistenza" di cristiani che riconoscevano Gesù come Cristo ma affermavano "che è nato come un essere umano tra gli uomini". Sebbene non fosse d'accordo con questa cristologia, lo faceva in modo "relativamente mite" e "rispettoso".

Significativamente, Giustino "non li condannava come eretici", "non diceva che non erano salvati" e "non li confinava all'inferno", dimostrando una "tolleranza sorprendente" per gli standard dell'epoca. Questa apertura contrasta fortemente con l'atteggiamento che caratterizzerà i secoli successivi, quando le dispute cristologiche diventeranno sempre più aspre.

Conclusioni: Un'Eredità Controversa

L'analisi della cristologia di Giustino Martire rivela un pensatore che, pur essendo venerato come santo, sosteneva posizioni che sarebbero state "considerate eretiche" secondo gli standard dei concili successivi come Nicea, Costantinopoli e Calcedonia. Giustino non era trinitario e "non era nemmeno vicino" a esserlo. La sua teologia si può riassumere nella convinzione che Gesù fosse la prima parte creata dell'opera del vero Dio, il logos, un "altro Dio" e il "secondo Dio".

L'unico vero Dio rimane, nella sua visione, una sola persona: il Padre solo, superiore a tutto. La distinzione tra Padre, Figlio e Spirito Santo è numerica e gerarchica, non una distinzione all'interno di un unico Dio. L'ironia della storia risiede nel fatto che la posizione di Giustino sul logos preesistente, profondamente influenzata dalla filosofia platonica, fu successivamente condannata da Tertulliano intorno al 210 d.C., il quale sosteneva che Platone fosse la fonte di tutte le eresie.

L'eredità di Giustino Martire testimonia la complessità e la diversità del cristianesimo primitivo, mostrando come le dottrine che oggi consideriamo ortodosse si siano sviluppate attraverso un lungo processo di dibattito, confronto e, talvolta, di condanna di posizioni precedentemente accettate. La sua figura rimane un esempio eloquente di come la filosofia e la teologia si siano intrecciate nei primi secoli cristiani, producendo sintesi originali che, pur essendo poi superate, hanno contribuito significativamente allo sviluppo del pensiero cristiano.

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