L'Epistola a Diogeneto è trinitaria?

L'Epistola a Diogneto: Un'indagine sulla cristologia e la concezione di Dio nel II secolo

L'Epistola a Diogneto, un'opera apologetica di fondamentale importanza inclusa nella collezione dei Padri Apostolici, offre uno sguardo approfondito sulla comprensione cristiana di Dio e di Cristo nel II secolo. Sebbene l'identità sia dell'autore che del destinatario, Diogneto, rimanga sconosciuta, si stima che l'opera sia stata composta tra la metà e la fine del II secolo (circa 150-200 d.C.). L'epistola si presenta come una difesa dei cristiani, spiegando la loro fede ai pagani politeisti e agli ebrei. È tuttavia cruciale notare che l'opera, nella sua forma attuale, è un composto di due autori distinti: i capitoli 1-10 riflettono il pensiero dell'autore originale, mentre i capitoli 11-12 sono stati scritti da una mano diversa, con un vocabolario, uno stile e persino opinioni diverse, come quelle sugli ebrei. Questa distinzione è confermata da lacune nel manoscritto principale, il Codex Argentinensis, che indica una rottura tra i due testi e una nota marginale che attesta questa interruzione. L'analisi di entrambi i contributi è essenziale per comprendere le diverse prospettive teologiche presenti in quest'opera antica e per valutarne l'eventuale natura Trinitaria.

La concezione di Dio dell'autore originale (capitoli 1-10)

L'autore originale dell'Epistola a Diogneto dimostra una chiara comprensione unitaria di Dio. Egli descrive gli ebrei come coloro che "giustamente affermano di adorare l'unico Dio che è al di sopra di tutto e di considerarlo padrone". Questa affermazione non viene contestata, suggerendo che l'autore cristiano stesso concordi con la visione unitaria del Dio di Israele. Dio è presentato come l'unico Creatore dei cieli e della terra, Colui che provvede a tutto e che non ha bisogno di nulla. L'autore si sforza di sottolineare l'unicità di Dio utilizzando ripetutamente pronomi intensivi di terza persona singolare, come "egli stesso" (autos in greco), per enfatizzare che Dio è una sola persona.

L'autore non definisce mai Dio come Padre, Figlio e Spirito, né usa pronomi plurali per riferirsi a Lui. Inoltre, l'autore afferma che "Lui solo è buono", indicando che solo una persona, il Padre, possiede questa bontà intrinseca. Tutte queste descrizioni convergono nell'indicare che per l'autore dei capitoli 1-10, Dio è un'unica persona, identificabile con il Padre solo, e la sua teologia è inequivocabilmente unitaria.

La concezione di Cristo dell'autore originale (capitoli 1-10)

Mentre la visione di Dio è chiaramente unitaria, la cristologia dell'autore originale è più complessa, pur mantenendo elementi unitari. L'autore crede senza dubbio nella preesistenza di Gesù, sebbene il modo esatto in cui il Figlio preesistesse sia meno definito. Cristo non è presentato come il creatore, ma come "l'artigiano e demiurgo di tutto, in cui [Dio] creò i cieli". Ciò lo qualifica come l'agente della creazione, non il creatore stesso, un ruolo che ricorda la cristologia del Logos a due stadi vista in opere come quelle di Giustino Martire.

Dio ha inviato il Figlio, paragonato a un re che invia il proprio figlio. Il Figlio è inviato "come un re, lo inviò come un dio, lo inviò come un uomo agli uomini". È importante notare che la traduzione greca indica "come un dio" (senza articolo definito), distinguendolo dall'unico vero Dio. Inoltre, si afferma che Dio "comunicò [un grande e ineffabile pensiero] solo al suo fanciullo" (usando paideon piuttosto che huios per figlio), ribadendo che Dio, avendo un figlio, è per definizione il Padre solo.

L'autore attribuisce al Figlio anche attributi elevati, descrivendolo come "l'incorruttibile per il corruttibile" e "l'immortale per il mortale". Queste qualità di incorruttibilità e immortalità, solitamente attribuite a Dio solo, sono qui riconosciute anche al Figlio, suggerendo una "cristologia elevata". Tuttavia, nonostante questi attributi, il Figlio non è considerato co-uguale al Padre. La bontà, ad esempio, è attributo del Padre "solo". Il Padre è il creatore, mentre il Figlio è l'agente della creazione. Questa relazione indica una cristologia subordinazionista, dove il Padre è chiaramente superiore al Figlio, una prospettiva comune nel mondo antico dove i padri erano considerati maggiori dei figli.

L'assenza dello Spirito Santo (capitoli 1-10)

Uno degli aspetti più notevoli della teologia dell'autore originale è la completa assenza dello Spirito Santo. L'Epistola a Diogneto non menziona, commenta o allude in alcun modo allo Spirito Santo. Questa lacuna è significativa per il dibattito sulla Trinità, poiché rende difficile sostenere che i primi cristiani fossero Trinitari quando un'opera apologetica così importante ignora completamente la terza persona della Trinità. L'autore non definisce mai il vero Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo, ma piuttosto come un'unica persona: il Padre solo.

La teologia del secondo autore (capitoli 11-12)

La parte finale dell'Epistola, i capitoli 11-12, presenta una teologia diversa. Questo autore si concentra sul concetto di "Parola" (Logos). Egli scrive che Dio "inviò la sua parola (logos) affinché fosse manifesta al mondo". Questa "Parola era fin dal principio" e, sebbene apparisse recente, "fu scoperta essere antica". La distinzione chiave è che "oggi è considerata un figlio". Ciò implica una transizione: la Parola preesisteva come Parola, ma solo nel presente viene considerata o riconosciuta come Figlio. Il Figlio, quindi, non preesisteva consciamente come Figlio, ma solo come Parola. Questa interpretazione è sorprendentemente simile a quella di molti unitari biblici moderni riguardo a Giovanni 1, che vedono il Logos come il discorso personificato, creativo e potente di Dio, che diventa Figlio solo quando "la Parola si fece carne".

Conclusione

In sintesi, l'analisi dell'Epistola a Diogneto rivela che nessuno dei due autori articola una dottrina trinitaria. L'autore originale dei capitoli 1-10 presenta una chiara visione unitaria di Dio come una singola persona (il Padre) e una cristologia subordinazionista, dove Gesù preesiste come agente della creazione con attributi divini, ma è distinto e subordinato al Padre. Lo Spirito Santo è completamente assente dalla sua teologia. Il secondo autore, nei capitoli 11-12, distingue tra la Parola preesistente e il Figlio, affermando che la Parola è considerata Figlio solo nel presente. Questo studio, come parte di una più ampia ricerca, suggerisce che l'Epistola a Diogneto non fornisce alcuna prova di una comprensione trinitaria di Dio nei primi secoli del Cristianesimo, in linea con l'assenza di tali dottrine in altri scritti dei Padri Apostolici come quelli di Clemente di Roma, Ignazio di Antiochia, Giustino Martire e Policarpo.

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