Gesù è una persona umana? Un'esegesi della testimonianza biblica

L'affermazione che "Gesù è una persona divina che ha assunto natura umana" rappresenta uno dei pilastri della cristologia ortodossa sviluppatasi nei secoli IV-V. Tuttavia, un esame attento delle fonti neotestamentarie rivela una significativa discrepanza tra questa formulazione teologica e il ritratto di Gesù che emerge dalle Scritture. Gli autori del Nuovo Testamento, Gesù stesso nelle sue parole riportate, Paolo apostolo e i primi scrittori cristiani non insegnarono mai questa dottrina nella sua forma sistematizzata.

La frase "Dio assunse l'umanità", se tradotta nel greco del Nuovo Testamento come theos lambanei anthropon, non trova alcun riscontro testuale. Questa osservazione filologica non è meramente accademica: essa sottolinea come la teologia dell'incarnazione, così come formulata dai concili di Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.) e Calcedonia (451 d.C.), rappresenti uno sviluppo dottrinale posteriore piuttosto che una fedele interpretazione del messaggio biblico originale.

Le testimonianze bibliche dell'umanità di Gesù

L'annunciazione: un inizio temporale, non eterno

Il racconto dell'annunciazione in Luca 1:32-35 fornisce elementi cruciali per comprendere l'origine e la natura di Gesù. L'angelo Gabriele annuncia a Maria che il bambino "sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo" (v. 32). L'uso del futuro (estai in greco) indica chiaramente che questa condizione filiale non preesiste al concepimento, ma inizia con esso.

Il versetto 35 è particolarmente illuminante: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra; perciò anche il santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio". La costruzione greca suggerisce che la filiazione divina di Gesù è conseguenza (dio kai) dell'intervento dello Spirito Santo nel concepimento. Non si tratta dell'incarnazione di una persona preesistente, ma della generazione di una nuova persona umana attraverso un atto creativo divino.

L'insistenza di Luca sulla genealogia davidica (v. 32: "il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre") sottolinea la continuità biologica e storica di Gesù con la stirpe umana. Come discendente reale di Davide, Gesù non può essere ridotto a una "natura umana impersonale" assunta da una persona divina preesistente.

L'autodefinizione di Gesù: "io sono un uomo"

Forse la testimonianza più diretta dell'umanità di Gesù proviene dalle sue stesse parole riportate in Giovanni 8:40: "Ma ora cercate di uccidere me, che sono un uomo che vi ha detto la verità che ho udito da Dio". Il termine greco utilizzato è anthropon, la forma accusativa di anthropos, che designa inequivocabilmente un essere umano.

Questa autodefinizione è tanto più significativa perché avviene nel contesto di una disputa sulla sua identità messianica. Gesù non rivendica una natura divina, ma si presenta esplicitamente come un essere umano che ha ricevuto la rivelazione da Dio. La distinzione tra sé e Dio è netta: egli ha "udito da Dio" (akousa para tou theou), stabilendo una chiara relazione di subordinazione epistemologica.

Il contesto immediato rafforza questa interpretazione. Nel versetto precedente (8:39), Gesù distingue le opere di Abramo dalle opere di Dio, posizionandosi come mediatore di una rivelazione ricevuta, non come fonte originaria della stessa.

Il parallelismo paolino: Adamo e Cristo

Paolo in 1 Corinzi 15:21-22 sviluppa una delle sue analogie teologiche più potenti: "Poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Come tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo".

L'uso parallelo del termine anthropos per designare sia Adamo che Cristo non è casuale. Paolo stabilisce una corrispondenza ontologica tra i due: entrambi sono membri autentici della razza umana, entrambi fungono da rappresentanti dell'umanità, ma con esiti opposti. Se accettiamo che Adamo sia genuinamente umano, la coerenza linguistica e teologica paolina richiede che riconosciamo la stessa natura in Cristo.

Il parallelismo si estende oltre la semplice terminologia. In Romani 5:12-21, Paolo sviluppa il tema del "un solo uomo" (henos anthropou) attraverso cui il peccato è entrato nel mondo (Adamo) e della "giustificazione di vita" che viene attraverso "un solo uomo" (Cristo). La logica dell'argomentazione paolina si fonda sulla reale umanità di entrambe le figure: solo un essere genuinamente umano può rappresentare l'umanità nelle sue conseguenze cosmiche.

Il mediatore umano: 1 Timoteo 2:5-6

Il passaggio di 1 Timoteo 2:4-6 fornisce forse la dichiarazione più esplicita sulla natura umana di Gesù nel contesto della sua funzione salvifica: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti".

La formulazione greca è particolarmente precisa: heis kai mesites theou kai anthropon, anthropos Christos Iesous. Il mediatore è chiamato esplicitamente anthropos, utilizzando la stessa parola impiegata per descrivere tutti gli esseri umani (anthropon) che necessitano di salvezza. Non si tratta di un linguaggio approssimativo o accommodante: l'autore intende stabilire che il mediatore appartiene ontologicamente alla stessa categoria di coloro per i quali media

La solidarietà completa: Ebrei 2:14-18

La Lettera agli Ebrei sviluppa il tema dell'umanità di Gesù con particolare profondità teologica. In Ebrei 2:14 leggiamo: "Poiché i figli partecipano del sangue e della carne, anch'egli pure vi ha partecipato allo stesso modo". Il verbo greco kekoinoneken (ha partecipato) indica una condivisione reale e completa, non una mera apparenza o assunzione esteriore.

Il versetto 17 è ancora più esplicito: "Perciò doveva essere reso simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per diventare un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo". L'espressione "in ogni cosa" (kata panta) indica una similarità totale, non parziale o limitata.

L'argomentazione dell'autore di Ebrei si fonda su una logica soteriologica: per essere un sommo sacerdote efficace, Gesù deve condividere completamente la condizione di coloro per i quali intercede. Il versetto 18 conclude: "Infatti, per il fatto di aver sofferto egli stesso quando è stato tentato, può venire in aiuto di quelli che sono tentati". La capacità di "venire in aiuto" deriva dalla condivisione reale dell'esperienza umana, inclusa la tentazione.

Analisi del linguaggio biblico: terminologia e significato

Il campo semantico di anthropos

Il Nuovo Testamento utilizza il termine anthropos con notevole consistenza per designare gli esseri umani in opposizione a Dio (theos), agli angeli (angeloi) e agli animali. Quando gli autori biblici applicano questo termine a Gesù, non stanno usando un linguaggio metaforico o accommodante, ma stanno facendo un'affermazione ontologica precisa.

Un'analisi concordanziale rivela che anthropos nel Nuovo Testamento designa sempre esseri umani concreti, mai nature astratte o impersonali. Quando Paolo scrive che Cristo è anthropos (1 Cor 15:21), quando l'autore di 1 Timoteo chiama Gesù anthropos (2:5), quando Gesù stesso si definisce anthropon (Gv 8:40), stanno utilizzando la terminologia standard per designare una persona umana.

La teologia del "figlio dell'uomo"

La denominazione "Figlio dell'uomo" (ho huios tou anthropou), che Gesù usa frequentemente per riferirsi a se stesso, merita un'analisi particolare. Mentre alcuni interpreti vedono in questa espressione un'allusione alla figura divina di Daniele 7:13-14, il linguaggio stesso suggerisce una forte enfasi sull'umanità.

In aramaico, bar enasha (figlio dell'uomo) è spesso un modo idiomatico per dire semplicemente "uomo" o "essere umano". Anche quando l'espressione assume connotazioni messianiche, il riferimento all'umanità rimane centrale. Il "Figlio dell'uomo" di Daniele, pur ricevendo autorità divina, rimane distinto dall'"Antico di giorni" che gliela conferisce.

La cristologia dell'esaltazione vs. l'incarnazione

Il Nuovo Testamento presenta prevalentemente una cristologia dell'esaltazione piuttosto che dell'incarnazione. Atti 2:36 dichiara: "Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso". Il verbo "ha costituito" (epoiesen) indica un atto temporale di elevazione, non il riconoscimento di uno status preesistente.

Filippesi 2:9-11 segue la stessa logica: "Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome". L'innalzamento (huperupsosen) è presentato come conseguenza dell'obbedienza umana di Gesù (vv. 6-8), non come ripristino di una gloria preesistente.

Romani 1:3-4 distingue chiaramente due fasi nell'esistenza di Gesù: "nato dal seme di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santità mediante la risurrezione dei morti". La filiazione divina è associata alla risurrezione, non al concepimento o a una preesistenza.

Le implicazioni della teologia conciliare

Il problema dell'impersonalità

La formula calcedonese che presenta Gesù come "vero Dio e vero uomo" in "una persona e due nature" crea paradossi logici significativi. Se la persona di Cristo è divina, in che senso la sua natura umana può essere considerata genuinamente personale? La teologia tradizionale risponde parlando di una natura umana impersonale o non ipostatica, ma questa soluzione genera più problemi di quanti ne risolva.

Una natura umana impersonale è un'astrazione filosofica che non trova riscontro nell'esperienza umana concreta. Gli esseri umani non sono nature impersonali, ma persone che possiedono una natura. Se Gesù non è una persona umana, ma una persona divina che assume una natura umana, la sua solidarietà con l'umanità diventa problematica.

La questione della tentazione e della crescita

I Vangeli presentano Gesù come soggetto a tentazione (Mt 4:1-11; Mc 1:12-13; Lc 4:1-13) e come una persona che "cresceva in sapienza, statura e grazia" (Lc 2:52). Questi elementi sono difficili da conciliare con l'idea di una persona divina onnisciente e impeccabile per natura.

Ebrei 4:15 afferma che Gesù "è stato tentato in ogni cosa come noi, però senza peccare". La tentazione reale richiede la possibilità reale del peccato; altrimenti si tratterebbe di una messa in scena. Ma se Gesù è ontologicamente divino e quindi impeccabile per natura, come può essere tentato realmente?

La teologia tradizionale tenta di risolvere questo problema attribuendo la tentazione alla natura umana di Gesù mentre l'impeccabilità è garantita dalla persona divina. Tuttavia, questa soluzione artificiale non rende giustizia al linguaggio biblico, che presenta Gesù come una persona integrata che può essere genuinamente tentata e che sceglie liberamente di non peccare.

Il problema soteriologico

L'adagio patristico "ciò che non è assunto non è guarito" (quod non est assumptum non est sanatum) viene spesso utilizzato per sostenere la necessità dell'incarnazione divina. Tuttavia, questo principio può essere interpretato in modo diverso: ciò che deve essere guarito è l'umanità, quindi ciò che deve essere assunto è la piena umanità personale, non una natura umana impersonale.

Se Gesù non è una persona umana autentica, può veramente rappresentare l'umanità nella sua condizione di peccato e mortalità? Un rappresentante che non condivide pienamente la natura di coloro che rappresenta può essere efficace nel superare la loro condizione?

La prospettiva storico-critica

I concili e il contesto filosofico

I concili del IV e V secolo operarono in un contesto filosofico profondamente influenzato dal platonismo medio e dal neoplatonismo. La distinzione tra persona e natura, centrale nelle formule conciliari, deriva dalla filosofia greca piuttosto che dalla teologia biblica.

Il concetto di hypostasis (ipostasi/persona) e ousia (essenza/natura) utilizzato a Calcedonia riflette categorie aristoteliche e neoplatoniche che erano estranee al pensiero semitico degli autori biblici. Questa influenza filosofica non è necessariamente negativa, ma solleva interrogativi sulla fedeltà alle intenzioni originali del testo biblico.

Lo sviluppo dottrinale e la legittimità dell'interpretazione

Il cardinale John Henry Newman teorizzò lo "sviluppo della dottrina" per giustificare l'evoluzione delle formule teologiche rispetto alle affermazioni bibliche originali. Tuttavia, rimane la questione se tale sviluppo rappresenti una legittima esplicitazione del contenuto biblico o una deviazione dalla testimonianza apostolica.

Il criterio per valutare la legittimità di uno sviluppo dottrinale dovrebbe essere la sua coerenza con il messaggio biblico originale e la sua capacità di illuminare piuttosto che oscurare il significato delle Scritture. La cristologia calcedonese, pur tentando di salvaguardare la piena divinità e umanità di Cristo, introduce paradossi logici che rendono problematica la comprensione dell'identità di Gesù.

Alternative interpretative: la cristologia adamica

Gesù come secondo Adamo

Una lettura attenta dei testi paolini suggerisce una cristologia alternativa che potremmo definire "adamica". In questa prospettiva, Gesù è un essere umano autentico che, a differenza del primo Adamo, mantiene una relazione di perfetta obbedienza con Dio.

Questa interpretazione preserva la reale umanità di Gesù mentre spiega la sua unicità attraverso la sua relazione privilegiata con Dio piuttosto che attraverso una natura divina intrinseca. Gesù diventa il rappresentante perfetto dell'umanità non perché è ontologicamente divino, ma perché realizza il progetto originale di Dio per l'essere umano.

La filiazione divina come relazione, non come natura

Il concetto biblico di "figlio di Dio" può essere compreso in termini relazionali piuttosto che ontologici. Nell'Antico Testamento, Israele è chiamato "figlio di Dio" (Os 11:1), i re davidici sono "figli di Dio" per adozione (2 Sam 7:14; Sal 2:7), e persino gli esseri umani in generale possono essere considerati "figli di Dio" (Sal 82:6).

Gesù, in questa prospettiva, è "Figlio di Dio" in senso supremo non perché possiede una natura divina, ma perché realizza perfettamente la vocazione filiale che Dio intende per tutti gli esseri umani. La sua filiazione è il modello e la garanzia della filiazione di tutti i credenti (Rm 8:29: "predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo").

L'esaltazione come deificazione

La teologia ortodossa orientale ha sviluppato il concetto di theosis (deificazione) per descrivere il destino ultimo dell'umanità redenta. Questo concetto può illuminare la comprensione dell'identità di Gesù: egli è il primo essere umano a raggiungere la piena deificazione attraverso la perfetta unione con Dio.

In questa prospettiva, Gesù non inizia la sua esistenza come Dio, ma è esaltato alla condizione divina attraverso la sua obbedienza perfetta e la sua risurrezione. Questa interpretazione preserva sia la reale umanità di Gesù sia la sua partecipazione alla vita divina, senza ricorrere ai paradossi della doppia natura.

Implicazioni contemporanee

Per l'antropologia teologica

Se Gesù è genuinamente umano, il suo esempio diventa direttamente rilevante per la comprensione della vocazione umana. Non si tratta di imitare un essere divino che assume caratteristiche umane, ma di seguire un essere umano che realizza pienamente il progetto di Dio per l'umanità.

Questa prospettiva ha implicazioni profonde per l'antropologia cristiana. L'essere umano non è chiamato a trascendere la propria umanità per avvicinarsi al divino, ma a realizzare pienamente la propria umanità nella relazione con Dio, seguendo l'esempio di Gesù.

Per la soteriologia

Una cristologia dell'umanità autentica di Gesù offre una base più solida per la soteriologia. Il sacrificio di Gesù acquista maggiore significato se è offerto da un essere umano reale che condivide pienamente la condizione di coloro per i quali si sacrifica.

La risurrezione di Gesù diventa la garanzia che l'umanità può superare la morte non attraverso l'intervento di un essere divino, ma attraverso la fedeltà di un essere umano che confida pienamente in Dio. Questa prospettiva rende la salvezza più accessibile e comprensibile per l'esperienza umana ordinaria.

Per il dialogo ecumenico e interreligioso

Una cristologia che enfatizza l'umanità di Gesù può facilitare il dialogo con tradizioni religiose che hanno difficoltà ad accettare l'incarnazione divina. L'Islam, ad esempio, può riconoscere Gesù come un profeta umano eccezionale senza dover accettare la sua natura divina.

Anche nel dialogo ebraico-cristiano, una cristologia dell'umanità di Gesù può risultare meno problematica, poiché non viola il monoteismo rigoroso del giudaismo. Gesù può essere riconosciuto come il Messia umano promesso dalle Scritture ebraiche senza dover essere identificato con Dio stesso.

Conclusioni

L'esame delle testimonianze bibliche sull'identità di Gesù rivela un quadro coerente che presenta Cristo come un essere umano autentico, non come una persona divina preesistente che assume una natura umana. I testi neotestamentari utilizzano consistentemente la terminologia umana per descrivere Gesù, e lo stesso Gesù si identifica esplicitamente come "un uomo".

Questa prospettiva biblica è stata successivamente modificata dalla teologia conciliare del IV-V secolo, che, operando in un contesto filosofico greco, ha introdotto distinzioni e paradossi che non sono presenti nel messaggio biblico originale. Mentre la teologia conciliare aveva l'intenzione lodevole di preservare sia la divinità che l'umanità di Cristo, le sue formulazioni hanno finito per compromettere la genuina umanità che le Scritture attribuiscono chiaramente a Gesù.

Le implicazioni di questa rilettura sono significative per tutti i settori della teologia cristiana. Una cristologia dell'umanità autentica di Gesù offre una base più solida per l'antropologia teologica, la soteriologia e l'etica cristiana. Inoltre, può facilitare il dialogo interreligioso, presentando una figura di Gesù più accessibile a diverse tradizioni religiose.

La questione va oltre il dibattito accademico: tocca il cuore della fede cristiana e la comprensione dell'identità e della missione di Gesù Cristo. Se Gesù non è una vera persona umana, le implicazioni per la soteriologia, l'antropologia e la spiritualità cristiane sono profonde e meritano una riflessione teologica approfondita che non si accontenti delle formulazioni tradizionali, ma torni alle fonti bibliche con occhi nuovi e mente aperta.

L'invito è a un ritorno alle Scritture non come esercizio di fondamentalismo letterale, ma come ricerca sincera della verità che gli autori biblici intendevano comunicare riguardo all'identità di colui che chiamavano Gesù Cristo, il Signore. Solo attraverso questa ricerca onesta possiamo sperare di comprendere più profondamente tanto l'identità di Gesù quanto la nostra vocazione come suoi seguaci nella storia umana.

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